Sergio Pizzuti - L’Italia in mutande (ma in piedi) - Terza Edizione ampliata
Collana "La Magnolia" - I libri di Umorismo e Satira 15x21 - pp. 350 - Euro 14,00 ISBN 978-88-6587-4141 Clicca qui per acquistare questo libro Libro scritto da Sergio Pizzuti e Marco Raja In copertina vignetta di Carlo Lazzaretti PREFAZIONE Come vi renderete conto leggendo questo libro, esso è colmo di citazioni di persone più o meno famose, che scrivono sull’Italia e sugli italiani, alcune volte in modo speranzoso, altre in maniera drastica. Da queste considerazioni e dalle nostre riflessioni ne nasce questo libro satirico, ironico ma anche serioso. Gli autori L’Italia in mutande (ma in piedi) - Terza Edizione ampliataAlle nostre mogli N.B.: Gli aforismi tra un articolo e l’altro, riportati dopo gli asterischi, sono di Marco Raja. I titoli preceduti da asterischi riguardano prose, poesie, epigrammi e riflessioni tratti dal libro «La Casta ci incastra» degli stessi autori del gruppo editoriale Esselibri-Simone di Napoli e dal libro «Satireggiando» di Marco Raja. CAP. I L’Italia e gli Italiani visti da Marco Raja
Dopo aver letto al mattino il quotidiano, SILLOGISMO POLITICO ITALIANO I politici formano i partiti. I partiti spartiscono gli uomini e le donne. Gli spartiti creano fanatici. I fanatici creano casini. Il casino significa caos. Il caos è l’anagramma di caso. Il caso può essere pietoso. La pietà genera tolleranza. La tolleranza è tollerata dalla politica. La politica è una casa di tolleranza. La casa di tolleranza è un bordello. Nel bordello ci sono le prostitute. Le prostitute sono frequentate dai puttanieri. I puttanieri sono i politici più spregiudicati. Gli spregiudicati rovinano l’Italia. L’Italia ci disonora nel mondo. Il nostro mondo è immondo. Amen! L’amen è la finale rassegnazione dell’italico minchione!
Nei tempi andati,
L’Ittalliaaaa, nonostante tutto, rimane “il giardino d’Europa” ma con scarsa manutenzione. Ci sono troppe piante infestanti che si fanno festa reciprocamente. Sarebbe pertanto necessaria una dilatazione nazionale. Parlando e scrivendo dell’Italia, bisognerebbe dire e scrivere: “Ittalliaaaa” per poterla aiutare a uscire dalle ristrettezze. *** Non pochi nostri politici sono una nullità. Il prefisso del loro telefonino dovrebbe essere: 6, 1, 0 (sei, uno, zero). ITALIA NON ECOLOGICA L’Italia è una penisola confinante con montagne di debiti e mari di guai. È uno stivale bagnato da quattro mari e dalla pipì dei turisti e degli extracomunitari. L’Italia è un Paese di debole costituzione, ha sempre bisogno del ricostituente della rianimazione. Quasi ogni anno frane e incendi la feriscono, la indeboliscono e la rovinano, perché gli italiani non sono capaci di proteggerla, come se non fosse la loro terra. Perché? Io ci terrei alla mia casa, al luogo che mi ha dato i natali, laddove sono nato e cresciuto. Perché dobbiamo rimboccarci le maniche quando potremmo preventivamente evitare tali disastri? Spero che gli italiani, compreso me, si diano da fare in tal senso, prima e non dopo gli eventi. Homo Italicus Nel nostro Paese tutto ciò che è gratuito e pubblico è bistrattato e disastrato. Pare proprio che l’Homo italicus nell’atto di accogliere qualcosa da usare in collettività diventi all’improvviso pezzente e sgangherato da tutte le parti. È questa un’infezione che comincia dentro di noi, dal cervello e dal cuore, per diffondersi poi rapidamente in ciò che ci circonda e ci ospita. Un bosco o una strada cittadina, una spiaggia o uno stadio, un fiume o una carrozza ferroviaria, un parco o un’aula scolastica, tutto, ma proprio tutto quanto ci è dato come bene naturale o come servizio sociale, diventa pattumiera collettiva, imbratto stratificato, squasso societario, devastazione comunitaria, mentre questo insulto supremo verso il buon vivere comune, uccide in noi la speranza di una società meno balorda, che ci confezioni un mondo meno indigesto per i nostri stomaci, troppo delicati per poter mandare giù tutto con l’imbuto da damigiana.
Durante i giorni della Creazione, quando Dio estrasse dal caos l’Italia somigliante a uno stivale da calzare a lungo, gli riuscì così bene e fu soddisfatto. Vide che “era cosa buona” e subito pensò: “Se tanto mi dà tanto, per custodirla così preziosa e bella creerò gli Italiani”. Nell’entusiasmo creativo non immaginò che questo fantasioso popolo da lui escogitato poteva riportare questa Sua bella Italia al caos primordiale, soprattutto non sapendo che l’uomo era un animale politico. Se ne accorse dopo il risveglio dal riposo seguito ai sei giorni di fatiche e con benevolenza di nuovo pensò: “Non tutto il male viene per nuocere, questa è una scusa buona per rifare daccapo la stupenda Italia”. Sorrise misericordioso con il dubbio se popolarla ancora con gli Italiani. Poi decise per il sì, cambiando tipo di fango, con meno impurità incorporate e, una volta seccato, meno riducibile in polvere a disposizione secondo il vento che tira. Simboli dei partiti italiani Nell’odierna baraonda politica italiana persino i simboli dei nostri partiti si stanno fracassando, assumendo nuovi significati ammonitori, in un ammasso di rottami ove tutto è aggrovigliato e rammentato in un immenso cumulo forse nemmeno riciclabile. Sospinto da pruriginosa curiosità, mi sono messo a rovistare fra questa cianfrusaglia stravolta in cerca di nuovi significati affioranti e ho visto: scudi crociati che son croci. Croci senza speranza lasciate in libertà. Libertà e speranze messe sulle croci. Croci schiodate da martelli. Martelli tagliati da falci. Falci e martelli stampati su drappi di sangue. Sangue che nasconde bandiere. Bandiere che si coprono di vergogne. Vergogne che si vestono di tricolore. Tricolore che arde in fiammate. Fiammate di soli al tramonto. Tramonto di rose prese a pugni. Pugni con rose appassite. Appassite corolle di garofani deflorati. Deflorati con rossi garofani. Garofani invasi dall’edera. Edera infestata da parassiti. Parassiti invischiati di scandali. Scandali sepolti nella sabbia. Sabbia che forma il deserto. Amen.
L’Italia è uno dei Paesi più belli del mondo, peccato che si tratta di una Repubblica fondata sul “chiasso”, sostantivo maschile che trova i suoi sinonimi, simili e derivati, in: “assordamento”, “baccano”, “bailamme”,”cagnara”, “canea”, “clamore”, “clangore”, “diavolio”, “fracasso”, “fragore”, “frastuono”, “gazzarra”, “gridio”, “pandemonio”, “putiferio”, “schiamazzo”, “strepitio”, “urlio” ecc, tutte negatività per il mal vivere del corpo e dell’anima, che trovano meno numerosi contrari in: “pace”, “quiete”, “raccoglimento”, “serenità”, “silenzio”, “tranquillità”, tutte positività per il buon vivere del corpo e dello spirito. *** L’Italia è una penisola scoperta dagli extracomunitari in cerca del primo articolo della Costituzione italiana, i quali fanno fatica a farlo applicare, poiché questo articolo è stato mutilato recentemente dal lavoro inesistente. L’Italiano è un popolo che si abitua facilmente alla maggioranza dissoluta, che con difficoltà si dissolve. [continua] CAP. II L’ITALIA E GLI ITALIANI VISTI DA SERGIO PIZZUTI DEFINIZIONE DI ITALIANO Già con l’unità d’Italia un uomo politico, scrittore e pittore piemontese, il marchese Massimo d’Azeglio, che fu presidente del Consiglio dei Ministri dal 1849 al 1852, disse: “l’Italia è fatta. Ora bisogna fare gli Italiani”. Molti scrittori stranieri e italiani hanno scritto sugli italiani, per es. Enzo Biagi (“I come Italiani”), Giorgio Bocca (“Italiani strana gente” e “L’Italia l’è malada”), Luigi Barbini (“Gli Italiani: virtù e vizi di un popolo”), Beppe Severgnini (“La testa degli italiani”), David Bidussa (“Siamo italiani”), Antonio Caprarica (Gli italiani la sanno lunga o no!?), Piero Ottone (“Italia mia”), Aldo Cazzullo (“L’Italia de Noaltri” con il sottotitolo “Come siamo diventati tutti meridionali”), Riccardo Iacona (“L’Italia in presadiretta). La migliore definizione dell’italiano è quella data per esclusione da Ferdinando Martini di Firenze (facendo parlare un inglese): “Siete troppo linfatico per un greco, troppo vivace per un olandese; parlate da mezz’ora con un uomo di cui non sapete il nome, non siete un tedesco; parlate poco, non siete un francese; avete dato la mancia al facchino, non siete uno svizzero; non avete le mani sudice di tabacco, non siete uno spagnolo; non portate diamanti alla camicia, non siete un sud-americano; non vi prendete i piedi in mano, non siete un nord-americano; non avete ancora lodato l’Inghilterra, non siete un inglese. Dunque siete un italiano”. *** “Noi italiani siamo formidabili ricucitori polivalenti e polifacenti. Ma appunto per questo, prima di essere sarti, siamo dei grandi strappatori rovinatutto”. L’ITALIA CINICA Gli italiani non sono solo un popolo di poeti, di eroi, di santi, di navigatori, ma anche di evasori fiscali; senza offesa per nessuno di noi. Accanto agli onesti cittadini, ci sono molti evasori fiscali, tanto è vero che tre italiani su quattro ritengono che l’evasione fiscale sia un problema gravissimo e nove italiani su dieci chiedono ancora più rigore nella lotta all’evasione. Molti di noi non sanno che, se gli evasori fiscali pagassero le tasse, il Fisco avrebbe in tasca circa 100 miliardi di euro in più all’anno, quasi 8 miliardi e mezzo al mese. QUANDO L’ITALIA CI FA ARRABBIARE “Quando l’Italia ci fa arrabbiare” è il titolo di un libro di Cesare Marchi, in cui ci spiega il miracolo di un Paese che ogni giorno sopravvive a sé stesso. E Mario Cervi nell’introduzione al libro di Stefano Lorenzetto, intitolato “Italiani per bene” conferma i concetti di Marchi scrivendo: “Sì, è un Paese, il nostro, che ci fa arrabbiare e qualche volta ci fa disperare. Il Paese degli egoismi anche sfrontatamente confessati, delle giungle pensionistiche e retributive, dei boiardi inamovibili e dei parlamentari flessibili”. Ma è anche il Paese degli Italiani per bene, come ci dimostra il contenuto del libro di Lorenzetto. Ci sono molti disonesti, ma la maggior parte è gente onesta, lavoratrice, con la testa sulle spalle. Perciò, anche se abbiamo intitolato il nostro libro “L’Italia in mutande”, sotto tra parentesi è scritto “ma in piedi”. E la stessa raffigurazione dell’Italia sulla copertina del nostro libro configura un uomo muscoloso, in mutande, ma in piedi (e non in ginocchio), perché nonostante la crisi e i problemi economici e politici della Nazione (per non parlare degli altri Paesi d’Europa), gli italiani sapranno sorgere dai mali che li affliggono, che mettiamo in evidenza in queste nostre riflessioni. Forza, rimbocchiamoci le maniche, come hanno fatto dopo il 1945 i nostri genitori o i nostri nonni, e saremo capaci di rimanere a galla. L’ITALIA DELLE INTERCETTAZIONI Già nel luglio 2005 Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, diceva: “Per un cittadino normale leggere sui giornali intercettazioni telefoniche o ambientali che dovrebbero far parte del segreto istruttorio dà davvero un’immagine non positiva del nostro Paese”. Lo seguiva a ruota Rocco Buttiglione, Udc, allora Ministro dei Beni Culturali, che confermava: “C’è una carenza della politica e non mi piace che questo vuoto sia stato riempito dalla magistratura e, addirittura, dai giornali che hanno pubblicato delle intercettazioni che dovrebbero essere secretate”. Ma anche quelli della minoranza, come Fausto Bertinotti, allora segretario di Rifondazione comunista, non replicava ma era della stessa opinione: “Dobbiamo discutere sul terreno politico perché le intercettazioni sono un’attività corsara e una malattia del sistema”. Da allora si è discusso tanto sulle intercettazioni telefoniche ma non si è concluso ancora niente. Michele Serra nel suo “Breviario comico” scrive: “Le intercettazioni sono spesso un grave arbitrio e una pesante violazione della vita privata: lo ha detto il garante della privacy in un’intercettazione telefonica pubblicata sui principali quotidiani nazionali: sapendo di essere intercettato, preferisce rilasciare solo dichiarazioni ufficiali, molto calibrate, anche quando telefona ai parenti. Uguale abitudine è stata ormai acquisita da tutti i principali esponenti politici e istituzionali”. Ciononostante, qualcuno ha la lingua lunga, avendo il vizio di parlare troppo al telefono, pur sapendo che il “Grande fratello” lo sta sentendo. Le intercettazioni sono lunghe orecchie che ascoltano imprudenti parole di sedicenti potenti, che, pensando d’essere tali, credono d’essere intoccabili e immortali. Com’è vero il proverbio che dice: si perde il pelo, ma non il vizio. Nel libro “C’era una volta l’intercettazione”, l’autore, il magistrato Antonio Ingroia scrive nell’introduzione: “Un marziano che si ritrovasse catapultato all’improvviso nelle aule e nei corridoi dei nostri palazzi del potere, a furia di sentire gli inquilini parlare con terrore di intercettazioni e progettare come abrogarle, si farebbe l’idea di essere capitato in una succursale della Banda Bassotti. Nei Paesi normali sono i criminali a essere ossessionati dal timore di venire intercettati e a predisporre tutti gli accorgimenti possibili per comunicare lontano da orecchie indiscrete. In Italia sono politici, amministratori, finanzieri, banchieri, imprenditori, top manager, alti ufficiali delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza. (…) Tale è la paura dei nostri politici, di destra e di sinistra, di finire intercettati (…) che anche i più fanatici propagandisti della “sicurezza” e della “tolleranza zero” contro la criminalità sono disposti ad abrogare di fatto lo strumento più efficace per smascherare e incastrare i colpevoli dei reati. Franco Cordero, su “la Repubblica”, l’ha chiamata “criminofilia”. Non poteva usare termine migliore! *** La patria intercettazione, ogni giorno, ovunque dilaga e si fa piaga nella Nazione. In Italia c’è libero accesso ad intercettarci persino nel domestico cesso. Sta diventando, l’intercettazione, fatto usuale sino al termine dello sciacquone. L’ITALIA E I NAPOLETANI Secondo Corrado Augias, che ce lo descrive nel suo “I segreti d’Italia”, Giuseppina Cavour Alfieri, nipote del conte, ha lasciato la descrizione delle ultime ore del grande statista. Nella spossatezza di una lunga agonia Camillo Benso di Cavour disse: “L’Italia del Settentrione è fatta, non ci sono più lombardi, piemontesi, toscani, romagnoli: siamo tutti italiani; ma vi sono ancora i napoletani: Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro,povera gente, sono stati malgovernati. (…) Bisogna moralizzare il paese, educar l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari: ma non si pensi di cambiare i napoletani ingiurandoli”. Quindi Cavour, poco prima della sua morte, avvenuta il 6 giugno 1861, aveva viaggiato più in Europa che in Italia, dove era arrivato fino a Firenze, senza conoscere neanche Roma, e non era mai entrato in Napoli, giustificava i napoletani, sebbene conoscesse la definizione di Napoli da parte del Leopardi, che l’apostrofò “città dei lazzaroni e dei pulcinella, semibarbara e africana”. Anche Charles Dickens (1812-1870), il più grande scrittore inglese, aveva scritto al suo amico John Forster, parlando di Napoli e dei napoletani, così: “Che cosa non darei perché tu potessi vedere i lazzaroni come sono in realtà: meri animali, squallidi, abietti, miserabili, per l’ingrasso dei pidocchi; goffi, viscidi, brutti, cenciosi, avanzi di spaventapasseri”. Certamente il grande scrittore si riferiva al popolino, non al popolo di corte della capitale del Regno delle Due Sicilie, che, costituitosi nell’Italia meridionale nel sec. XIII, comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Campania, Basilicata, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia, oltre ad una porzione meridionale del Lazio (distretto di Gaeta). La peculiarità di tale Regno era che re Ferdinando, fino al Congresso di Vienna del 1815, assumeva due corone, quella di Napoli come Ferdinando IV e quella di Palermo come Ferdinando III, intendendo per vera e propria isola la “Sicilia ulteriore”, mentre la parte continentale del territorio era detta “Sicilia citeriore”con Napoli capitale. Napoli era talmente famosa che Edoardo Scarfoglio, giornalista e scrittore, marito di Matilde Serao, pochi anni dopo l’unità d’Italia la definì “l’unica città orientale che non abbia un quartiere europeo” e Benedetto Croce, gran filosofo e napoletano d’adozione, pubblicò, riferendosi a Napoli, il saggio intitolato “Un paradiso abitato da diavoli” sulla scia dei giudizi dei viaggiatori settecenteschi e dei mercanti fiorentini, lucchesi, pisani, veneti e genovesi che si recavano a Napoli per i loro traffici. A parte il favoloso clima, tanto da far scrivere a Cesare Angelini “Dal Vomero a Castel dell’Ovo, Napoli è un candore di bucato al sole”, il proverbio che Napoli fosse un paradiso popolato da diavoli risale addirittura al Trecento, in quanto la storia d’Italia è soprattutto la storia delle sue città e dei suoi abitanti. Per colpa di questo degrado Ugo Ricci (1875-1940), scrittore napoletano, scriveva: “La nostra povera e cara città di Napoli si potrebbe paragonare ad una vecchia duchessa decaduta e costretta, per vivere, a far la cameriera. Non ha ormai più nulla della duchessa ed è una deplorevole cameriera. Pigra, bizzosa, indisciplinata…” Dato atto che Napoli è attualmente la terza città italiana per popolazione, i napoletani sono sempre stati detti “partenopei”, perché anticamente Napoli era chiamata Partenope, ed era una colonia cumana del sec. VII a.C., poi diventata impianto urbano di “Neapolis” (sec.V. a.C.) e deriva il nome da una sirena che la leggenda vuole sepolta nel luogo dove sorse poi la città. I bambini o ragazzi napoletani sono stati denominati “scugnizzi” di strada, e sono rappresentati dai monelli napoletani vivaci e irrequieti che giocano e vivono nei quartieri di periferia. Da maggiorenni rischiano poi, per carenza di lavoro, di entrare a far parte della “camorra” peggiorando la loro situazione. I napoletani sono stati chiamati anche “lazzaroni” termine spagnolo e seicentesco riferito ai cenciosi popolani di Napoli, ribellatisi nel 1647 contro il dominio vicereale sotto la guida del pescatore Tommaso Aniello, meglio noto come Masaniello. In spagnolo “lazaro” significa straccione, poveraccio e in senso spregiativo mascalzone e più anticamente indicava il lebbroso, con preciso riferimento al mendicante coperto di piaghe che nel Vangelo di Luca cerca di raccogliere qualche briciola al convitto del ricco epulone, che apprezza i cibi succulenti, e che si chiama appunto Lazzaro. Ancora oggi i napoletani sono considerati sporchi terroni, come dimostra l’episodio capitato davanti ai cancelli dello stadio torinese della Juve: un tifoso di tale squadra ha spiegato prima della partita Juve-Napoli del 21 ottobre 2012 al giornalista intervistatore: “I napoletani sono ovunque, al nord,al centro, al sud” e il giornalista ha commentato la frase: “E voi li distinguete dalla puzza… con grande signorilità”. Questa frase infelice, pubblicata il giorno dopo sui giornali sportivi di tutta Italia ha comportato commenti sfavorevoli e portato poco dopo al licenziamento del giornalista colpevole da parte della direzione del suo giornale, ma è vero un antico proverbio, che qualifica il napoletano “mangiapane, schiacciapidocchi e suonacampane” per dire che il napoletano è un fannullone che si accontenta di sfamarsi, passa il tempo a levarsi di dosso i pidocchi, frutto della sua sporcizia, e fa continuamente festa, anche se è altrettanto vero che si riferisce solo alla miseria dei ceti più umili di Napoli. Non dimentichiamoci che Napoli, oltre ad essere città di storia millenaria e di straordinarie bellezze naturali, tanto da essere appellata “il giardino d’Italia”, è stata capitale del reame borbonico e fu dal Seicento fino all’Unità d’Italia, uno dei centri culturali più importanti del Continente europeo, caratterizzato dalla vivacità della classe intellettuale e dalla ricchezza dei nobili. Infatti un nobile come il Principe De Curtis, grande artista comico di livello mondiale con il nome di Totò, ha riabilitato il popolo napoletano, quando ha detto nel film “Totò e Peppino divisi a Berlino”: “Il napoletano lo si capisce subito da come si comporta, da come riesce a vivere senza una lira”. In poche parole il napoletano è un popolo che “si arrangia”, anche se il suo territorio è immerso nell’immondizia.Il principe De Curtis poi in privato ha confermato: “Sono napoletano, membro della C.N.E.F.: ‘cca nisciuno è fesso” e, fiero delle sue origini, ha puntualizzato: “Io sono parte napoletano e parte-nopeo, cioè due volte napoletano”. E poi Totò diceva: “Sono veramente fiero di essere meridionale. Almeno due volte all’anno ho bisogno di rivedere Napoli, di sentirne l’odore. La città è magnifica, ma lo è soprattutto la gente. A Napoli esistono due categorie di persone: quelle perbene e quelle… no. I mascalzoni a Napoli non esistono”. Anche Francesco II Re del trono borbonico delle Due Sicilie (durato centoventisette anni) l’8 dicembre 1860 in un ringraziamento accorato agli uomini che lo stavano difendendo dall’invasione piemontese e garibaldina, disse: “Io sono Napoletano, nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri Paesi, non conosco altro suolo, che il suolo natio.Tutte le mie affezioni sono dentro il regno; i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni le mie ambizioni”. Molti anni dopo Luciano De Crescenzo nel suo libro “I pensieri di Bellavista” scrive: “Il popolo napoletano è in assoluto il più generoso che esista. Accolse Annibale a Capua come un trionfatore. Acclamò Nerone quando venne a cantare a Napoli; grazie a una claque addestrata per l’occasione, e, nel 1938, quando Hitler percorse in un’auto scoperta tutta via Caracciolo gli dedicò una canzone intitolata “Serenata a Hitler”, il cui ritornello diceva: – Benvenuto a ’sta città L’ITALIA DELLA DICHIARAZIA Scrive nel libro “Dichiarazia” Mario Portanova: “La Dichiarazia è una degenerazione della democrazia, è la libertà di pensiero che diventa pensiero in libertà. È una perversa spirale tra politica e media che ogni giorno ci inonda di centinaia di dichiarazioni, di fumo verbale che annebbia la realtà dei fatti e l’attività politica seria. Dichiarano i leader e i gregari, i ministri e i loro portavoce, i parlamentari nazionali e i consiglieri comunali, e tutti dichiarano su tutto. La dichiarazione monta su quella precedente, ne provoca una successiva e così via”. Bla, bla, bla, parole al vento che trasformano il detto latino “cogito, ergo sum” in quello latino italianizzato: “Dichiaro, ergo sum”. Però dopo arrivano le smentite, perché le prime dichiarazioni non erano altro che bugie o false verità. Si dichiara in televisione, in internet, nei talk show, e così si narcotizzano gli elettori con l’abuso delle parole, affermando che il dichiarante ha sempre ragione. Ma non è così, perché molte dichiarazioni sono contraddette dai fatti e dai comportamenti. Quindi, perché blaterare a vuoto? Sarebbe meglio parlare meno e privilegiare i fatti. [continua] Contatore visite dal 07-01-2014: 3263. |
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